di Massimo Ridolfi –
“ what a gig that was. i dont know the wages, but each
morning into the unblooded sunlite white leather emblems”
IL RACCONTO
Stuart Zane Perkoff nasce a Saint Louis (Missouri) il 29 luglio 1930, secondogenito di una famiglia di ebrei liberali, ovvero assimilati e non praticanti. Nat, il padre, è un piccolo imprenditore. Ann, la madre, si occupa della famiglia e aiuta il marito nelle sue piccole imprese commerciali. Stuart, seppur la famiglia non sia di osservanza ortodossa, è affascinato sin da piccolo dalle vicende bibliche: soprattutto lo attrae la figura di Mosè. Queste letture, perché come tali vanno interpretate, influenzeranno i suoi futuri testi, anche quelli più maturi, e, in qualche modo, plasmeranno pure il personaggio e il poeta Perkoff.
Da adolescente poi manifesta un animo ribelle, anticonformista ma anche creativo, e in casa è sempre pronto a partecipare a discussioni su temi politici e problematiche sociali. I genitori non frenano l’entusiasmo di Stuart, ma è più Ann ad incoraggiare apertamente il figlio, soprattutto nel suo incipiente lato artistico; mentre Nat, uomo pratico che crede fermamente nella “dottrina” del lavoro, pensa che certe aspirazioni, seppur giuste e condivisibili, vadano messe in secondo piano rispetto ad una fondamentale e imprescindibile realizzazione professionale. Indirizzo paterno che invece seguono da subito gli altri due figli della famiglia Perkoff, Gerald, il maggiore e futuro medico, e Simon, il più piccolo e futuro musicista nonché apprezzato pianista jazz.
Stuart Zane Perkoff scrive i suoi primi versi al liceo. Da qui comincia a misurarsi con il mondo e le sue diseguaglianze, povertà e ricchezza. Si iscrive, ad esempio, al Partito Comunista Americano sentendo condivisi da quella parte ideologica i temi politi e sociali che più lo appassionano. Ma la sua libertà di pensiero e di azione, soprattutto letteraria, urtano presto con i rigori della dottrina comunista, che lo vorrebbe politicamente più impegnato, “engagé”, organico anche nel contenuto dei suoi testi. Esce quindi dal partito e le sue idee politiche si spostano e si assestano definitivamente verso un ideologico pacifismo anarchico.
Finito il liceo, Perkoff non ha ancora compiuto diciotto anni che decide di lasciare Saint Louis per trasferirsi a New York City con in testa una vaga idea di fare l’attore. A New York in quegli anni c’è un grande fermento culturale e comincia a manifestarsi quella che verrà chiamata Beat Generation, corrente letteraria che accorda i ritmi della poesia a quelli del Jazz Be-Bop: la colonna sonora della New York di quel tempo. Giunto nella Grande Mela, solo e affamato, Perkoff per mantenersi trova lavoro in una ferramenta, continua a scrivere poesie e comincia anche un romanzo, che però non porterà mai a termine.
Prosegue i suoi studi come autodidatta frequentando le biblioteche pubbliche della città. Bazzica pure i locali del Greenwich Village, vero polmone culturale di Manhattan, facendosi conoscere e conoscendo a sua volta altri intellettuali, con cui passa lunghissime nottate a discutere e dove già emerge la sua forte personalità. Qui inizia la sua vita da bohémien, spartendo la fame e il gelo nei capannoni semi abbandonati del Village, futuri loft milionari.
Perkoff, nonostante le difficoltà che incontra a sopravvivere a New York, si innamora perdutamente della metropoli americana per quello che riesce a offrirgli: il desiderio pulsante e coinvolgente che abbraccia tutti; l’affiatamento e la comunione di intenti tipici del tempo in quei luoghi che uniscono gli artisti più diversi; l’opportunità impagabile di misurarsi con la vita e con il pensiero che si fa creazione: il Greenwich Village in quel momento è, probabilmente, il luogo più nuovo e stimolante sul pianeta terra.
Riesce pure a pubblicare le sue prime poesie sulle riviste di riferimento “Resistance” e “Origin”, ottendo l’attenzione, tra gli altri, di Charles Olson (1910 – 1970), neo docente e futuro rettore del Black Mountain College – mitica università americana dedicata alle arti sperimentali con sede nel North Carolina e attiva dal 1933 al 1957 – e Robert Creeley (1926 – 2005), poeti già affermatisi sulla scena della nuovissima poesia americana.
Perkoff a New York riprende pure la sua attività politica, anche se in chiave anarchica, schierandosi contro la legge sulle liste di arruolamento obbligatorio in tempo di pace. Viene perfino arrestato perché manifesta illegalmente all’interno di un palazzo federale. Dalle carceri lo libererà il padre Nat versando la cauzione e portandolo con sé in California, a Santa Barbara, dove si è trasferito con la famiglia e dove ha messo su una piccola paninoteca a conduzione famigliare.
Stuart inizia a lavorare nell’attività di famiglia, continua a scrivere poesie e approfondisce la sua ricerca ripartendo da Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965), appena premiato con il Nobel e anche lui nato a Saint Louis – è nato a Saint Louis pure William Seward Burroughs (1914 – 1997), con cui avrà dei contatti in seguito quando pubblicherà il suo primo libro.
In questo nuovo contesto, Perkoff incontra Suzan Blanchard, una studentessa universitaria con la quale si intrattiene in interessanti discussioni su vari temi e che dimostra una notevole preparazione, che supera anche le sue attuali conoscenze. Suzan ha passato gli ultimi due anni in un sanatorio per curarsi dalla polio, che le ha lasciato una evidente zoppia. Ma questo non frena l’entusiasmo e l’interesse di Stuart per Suzan, che se ne innamora vedendola come la personificazione di forza, indipendenza e grazia. Si sposano nel 1949 dopo appena qualche mese di frequentazione.
Trascorsi sei mesi dal matrimonio, Perkoff, sentendosi costretto nella piccola realtà di Santa Barbara e dalla dipendente vicinanza della famiglia di origine, suggerisce alla moglie Suzan di trasferirsi a New York. Lei accetta entusiasta.
Tornato a New York insieme a Suzan, Perkoff affitta un piccolo monolocale, il massimo che possono permettersi in quel momento. Suzan quando arriva nella Grande Mela è già incinta della loro prima figlia, Sasha. Stuart si mette subito alla ricerca di un lavoro che, nello stesso tempo, gli permetta di mantenere la famiglia e continuare a scrivere poesia.
Trova un impiego in una libreria di Manhattan che assume esclusivamente poeti, ma i guadagni non sono sufficienti a far fronte alle spese e per tirare avanti deve lavorare anche in una tavola calda come cuoco part-time. Questo ulteriore impegno lavorativo non gli lascia più il tempo necessario da dedicare alla scrittura, tanto da prendere in considerazione l’offerta fattagli dai parenti di tornare a vivere a Santa Barbara, dove la vita è meno cara e può contare pure sul loro aiuto.
Questo garantirebbe una migliore qualità della vita alla sua famiglia, soprattutto adesso che c’è pure la piccola Sasha. Ma Suzan, in un primo momento, non è d’accordo con il marito e crede che debbano rimanere a New York. Poco dopo però sono costretti a tornare in California e si trasferiranno a Venice, un giusto compromesso che li toglie dalla economicamente troppo impegnativa metropoli newyorkese e, contemporaneamente, garantisce loro una indipendenza almeno “fisica” dai parenti, distanti abbastanza da rendersi utili ma non indispensabili.
Venice, quartiere a ovest di Los Angeles, nei primi anni cinquanta è un luogo vitale e pieno di artisti e bohémien e, anche se non è il Greenwich Village, c’è una comunità molto attiva e coinvolgente. Per Perkoff è facilissimo integrasi, grazie anche alla sua breve ma intensa esperienza newyorkese, che lo ha arricchito facendolo portatore di un qualcosa di nuovo che ad ovest degli Stati Uniti non è ancora arrivato. Perkoff trova facilmente perfino un lavoro che risponde sia alle sue necessità economiche che alle sue aspirazioni letterarie.
Stuart Zane Perkoff, forte della sua personalità, diventa presto leader della comunità di artisti di Venice West, incoraggiando e riunendo attorno a sé altri poeti e promuovendo le prime letture pubbliche sulla west coast. Anche sua madre Ann assiste orgogliosamente ad alcune letture tenute dal figlio sulla costa californiana: Venice, in poco tempo, diventa la terra promessa di artisti, musicisti e poeti sulla costa occidentale del paese e Stuart Zane Perkoff ne è l’eletto profeta.
Nel 1956 Perkoff pubblica il suo primo libro di poesie, “The Suicide Room”, e i suoi testi continuano ad apparire su importanti riviste di riferimento, oltre ad essere inseriti nelle prime antologie Beat, come nella mitica e seminale “The New American Poetry: 1945-60” a cura di Donald Merriam Allen (1912 – 2004).
Ma in questo suo incessante impegno di poeta e cantore, Perkoff trascura nel tempo i suoi doveri di marito e di padre, lasciando troppo spesso Suzan sola a casa con i bambini – la coppia avrà altri due figli, Ben e Rachel, che detiene i diritti di tutte le poesie scritte dal padre.
Perkoff è così impegnato a promuovere letture pubbliche ma anche concerti che, addirittura, per assistere a uno di questi lascia Suzan da sola in sala travaglio. Tale suo atteggiamento porterà al graduale logoramento della relazione e alla fine della storia d’amore durata dieci anni. Questa separazione causerà a Suzan una grave crisi nervosa, che la porterà a un lungo periodo di sofferenza: questo fatto ispirerà in seguito il poema “The Venice Poems”, dove Perkoff tratterà a suo modo il tema della malattia mentale e della fine di un mondo ideale.
Perkoff si unirà sentimentalmente a Jana Baragan in un clima vorticoso tipicamente beatnik, dove gli amori si confondono e dividono. Dopo Jana, incontrerà un’altra donna molto importante nella sua vita, Susan Berman, con la quale scappa in Messico e da cui avrà una figlia, Eva, ultimogenita.
Ma ben presto tra Perkoff, la poesia, la musica e le donne, entrano a far parte anche gli stupefacenti. Inizia fumando marijuana, che ha già provato a New York ma allora senza particolare interesse. A Venice “la roba” è ovunque ed è solo un altro modo di rovinarsi, come con l’alcol o altre “droghe sociali”. E poi la marijuana negli anni cinquanta a Venice si trova pure a buon mercato e non è ancora attenzionata dalla polizia. La marijuana, però, non è una “droga eroica” come l’eroina: con l’erba non rischi di rimanere stecchito da una overdose; la marijuana non è abbastanza oltre.
E tutto fila liscio fino al 1966, anno che segnerà in America il passaggio dalla cultura Beat a quella Hippy, la prima principalmente concentrata sulla poesia mentre la seconda più influente sulla musica rock.
È proprio a Venice, ad esempio, che nel 1965 Ray Manzarek (1939 – 2013) e Jim Morrison (1943 – 1971) formano la rock-band “The Doors”. Perkoff, in questo crescente clima psichedelico, sperimentando altre droghe, fa il salto verso l’eroina e la sua infernale dipendenza, che brucerà anche la sua creatività non riuscendo più a scrivere e a pubblicare, e che lo porterà allo spaccio e alla galera nel 1968 con una condanna a quattro anni di reclusione.
Durante la carcerazione del loro indimenticato amore, Suzan Blanchard e Jana Baragan, come in una sorta di “vedovanza bianca”, decidono di allontanarsi dalla west coast e di trasferirsi e vivere assieme in North Carolina, attendendo la liberazione di Stuart, almeno fino a quando Jana non cede alle sirene tentatrici di Venice, dove ritorna e viene stroncata da una overdose di eroina.
Perkoff lascerà le patrie galere nel 1971 per buona condotta e quasi libero dalle droghe, anche se in carcere sarebbe stato facile averne come in strada: evidentemente durante la pena ha maturato la volontà di riconquistare la propria lucidità per tornare a sentire le “Voci della Signora”: così chiama la sua Musa, che torna a sussurrargli all’orecchio.
Una volta fuori, Perkoff riprende a scrivere e nel giro di due anni riesce a pubblicare diverse raccolte, tra le quali “Kowboy Pomes” e “Alphabet”, due tra i suoi lavori principali. Inizia anche a lavorare a una antologia dei suoi scritti curata insieme all’amico e poeta Paul Vangelisti, “Love Is the Silence”. Lo stesso Vangelisti lo inserisce nella importante antologia “Specimen ’73”, che raccoglie i testi dei maggiori poeti americani della post Beat Generation.
Ma il destino dell’uomo e del poeta segna implacabilmente a questo punto il temine terreno della sua vita: Stuart Zane Perkoff, nel suo momento più splendente, muore il 25 giugno 1974 all’età di 43 anni al Broctman’s Memorial Hospital. A un passo dalla totale indipendenza dalle droghe, lo stronca un tumore ai polmoni dovuto al tabagismo: per combattere il dolore terminale della malattia, gli viene somministrata della morfina medicale.
“Here I lie in my hospital bed/Tell me, Sister Morphine, when are you coming round again?” (Eccomi sdraiato sul mio letto di ospedale/Dimmi, Sorella Morfina, quando tornerai a perdermiti dentro?) arriva a cantare la voce di Mick Jagger negli Stati Uniti il primo maggio del 1971 mentre Perkoff esce di prigione: è in questa immagine che ritroviamo adesso raffigurate le ultime ore del poeta.
Vicino a lui l’ultima donna della sua vita, la poetessa Philomene Long (1940 – 2007), originaria del Greenwich Village, che raccoglie su di un nastro magnetico il canto ultimo del Profeta di Venice West, “Death Bed Conversation”: il giorno prima di morire Stuart chiede a Philomene di portare un registratore perché “aveva una poesia dentro”.
Paul Vangelisti, fedele all’impegno preso con l’amico, continua in solitaria il lavoro antologico dedicato a Perkoff e nel 1975 porta alle stampe “Love Is the Silence: Poems 1948 – 1974”.
Gerald T. Perkoff, il fratello più anziano del poeta di Venice, a metà degli anni novanta, grazie anche all’interessamento di Allen Ginsberg, riesce a raccogliere l’intera opera di Stuart Zane Perkoff, che la National Poetry Foundation dell’Università del Maine, con il contributo pure della Stephen and Tabitha King Foundation, pubblica integralmente il 15 giugno 1998 con il titolo “Voices of the Lady: Collected Poems”. Il tomo comprende, oltre alle sillogi pubblicate in vita, tutta la produzione mai raccolta in volume o inedita, tra cui il poema “The Venice Poems”.
Nella poesia di Stuart Z. Perkoff, nervosa e distesa e finalmente liberata, c’è il giuoco giocato delle parole, che rimbalzano tra l’epica western, alimentata dal grande cinema hollywoodiano, e una profondissima spiritualità laica, tornando a battere sulle sponde della residuale realtà del quotidiano, che della sua lirica ne fanno un divertimento sempre sul limine della tragedia (e qui verrebbe meglio la figurazione se si pensasse all’accezione musicale del termine).
Nella variegata e multiforme galleria Beat, Perkoff, soprattutto nelle sue “Kowboy Pomes”, riesce per giusta tensione etica ad assumere un suo proprio dettato e a essere ancora originale, unico e diverso dai grandi maestri che lo hanno preceduto e accompagnato, come Jack Kerouac (1922 – 1969), Allen Ginsberg (1926 – 1997), Gregory Corso (1930 – 2001) e l’eterno Lawrence Ferlinghetti.
L’amico e poeta Robert Creeley chiude la sua prefazione all’opera omnia del Profeta di Venice West con queste parole: “I poeti non inventano il mondo. Loro lo abitano. Stu Perkoff non lo ha mai lasciato”.
LA POESIA
SEVEN: THE BUFFALO
1.
as tho it all
swung on
the belly, the
gut being core &
pulse. the floor
of earth stinking
under its strange rug / rotting
flesh, stripped
naked.
man, who shivvers & is mostly
hairless, wraps in such
skin.
yes, to be warm. not to say
it is good
to be warm, but
it is warm.
but wore no
mask with horns, drew no
stark pictures, begged no permission
for murder. was not brother
to the flesh stink, the slam
sharp hoof
against the ground.
after all, the
rails must be cleared, that’s
money, the
crews must be
fed, that’s
money.
the heroes must be given
their strut & lie, their
validity.
2.
so much flesh: man & jackal
greedy feeding
gutswelling glutting
sniffing snorting stuffing
faces into it
blood irrigates, grass
grows thick, cows
munch, the
rest is known
rot fertilizes, wheat
grows. steel
binds, the huge trains
bring touching
bring death
bring people
while he whose land it was
(must still be)
is driven back by the stink
of decay. that was his
manna, those herds, those
shaggéd wise heads. meat his
unborn sons will cry for.
praying he has not committed
his gods to some evil thing
brooding over their own
deaths
his gods are warped
as his land is. the great
beasts his brothers his food
all boat & belch & fat
& mean flesh of
furious futility
3.
what a gig that was. i dont know the wages, but each
morning into the unblooded sunlite white leather emblems
of virtue chewed soft by women-tooth streaming straight
the wind. honor. carefully groomed, the beard, the mustache.
to bring in food. fresh meat running blood down work
& laugh twisted faces. as tho the whole thing swing on
the belly. & honor.
SETTE: IL BISONTE
1.
come se rimestasse
tutto nello
stomaco, l’intestino
diviene cuore &
battito. la superficie
terrestre insudiciata
sotto la sua strana pelliccia / carne
marcescente, scorticata
scoperta.
uomo, chi rabbrividisce & è molto spesso
spelacchiato, rivestito di questa
pelle.
sì, stare al caldo. non dire
che è giusto
stare al caldo, ma
è calda.
ma non indossò
la maschera con le corna, non fece
delle semplici fotografie, non chiese la licenza
di uccidere. non era fratello
della putrida carne, lo scalciare
dello zoccolo puntuto
contro il terreno.
dopotutto, la
strada ferrata deve essere liberata, questo è
il danaro, la
truppa deve essere
sfamata, questo è
il danaro.
gli eroi devono avere la loro andatura
spavalda & bugiarda, la loro
autorità.
2.
quindi tanta carne: uomo & sciacallo
ingordo nutrimento
ventri gonfi
annusando sniffando ficcando
dentro i musi
il sangue irrora, l’erba
cresce fitta, le vacche
ruminano, il
resto è risaputo
la putrefazione fertilizza, il frumento
cresce. l’acciaio
unisce, i grandi treni
trasportano commozione
trasportano morte
trasportano persone
mentre colui di cui la terra era
(deve ancora
essere sua)
è stato riportato indietro dal fetore
della putrefazione. qual era la sua
manna, quelle mandrie, quelle
sfinite teste giudiziose. carne i suoi
figli mai nati piangeranno per questo.
pregando lui non ha devozione
i suoi dei hanno qualcosa di diabolico
minacciosi sulla loro stessa
sorte
i suoi dei sono perversi
come lo è la sua terra. le magnifiche
bestie i suoi fratelli il suo cibo
tutto riempie & fuoriesce & ingrassa
& significa l’inizio di
una furiosa inutilità
3.
che lezione che fu. non so il prezzo, ma ogni
mattina nell’impura luce del sole bianca pelle simboli
di virtù masticati dolcemente da dente-femminile soffia forte
il vento. onore. accuratamente vestito, barba, baffi.
procurare del cibo. carne fresca il sangue scorre a valle lavoro
& riso deformano i volti. come se ogni cosa rimesta
nello stomaco. & onore.
(prime tre parti di cinque del poemetto – versione in lingua italiana del curatore)
LA LETTURA:
Titolo: Voices of the Lady: Collected Poems
Serie: Phoenix Living Poet Series
Autore: Stuart Z. Perkoff
Curatore: Gerald T. Perkoff
Pagine: 473 pages
Editore: National Poetry Foundation; 1st edition (July 15, 1998)
Lingua: English
L’OPERA
Poesia:
Edizioni originali:
- The Suicide Room; Jonathan Williams (Karlsruhe, Germany), 1956;
- Eat the Earth; Black Ace (Denver, CO), 1971;
- Kowboy Pomes; Groupier Press (Golden, CO), 1973;
- Alphabet; Red Hill Press (Los Angeles, CA; Fairfax, VA), 1973;
- Only Just Above the Ground; special issue #28 of The Smith, edited by Harry Smith, 1973;
- Love Is the Silence: Poems 1948-1974; edited by Paul Vangelisti, Red Hill Press (Los Angeles, CA; Fairfax, VA), 1975;
- How It Is, Doing What I Do; edited by Tony Scibella, Black Ace Books/Temple of Man (Los Angeles, CA), 1976;
- Visions for the Tribe; Bowery 25, Black Ace Books/Temple of Man (Los Angeles, CA), 1976;
- Voices of the Lady: Collected Poems; edited by Gerald T. Perkoff, National Poetry Foundation (Orono, ME), 1998.
Antologie:
- The NewAmerican Poetry: 1945-60; edited by Donald M. Allen, Grove (New York, NY), 1960;
- Specimen ’73; edited by Paul Vangelisti, Pasadena Art Museum (Pasadena), 1973.
Edizioni italiane:
Antologie:
- Nuova Poesia Americana – Los Angeles; curatela di Luigi Ballerini e Paul Vangelisti, Mondadori (Milano), 2005.
LE FONTI:
Nuova Poesia Americana – Los Angeles: Luigi Ballerini e Paul Vangelisti, Mondadori (Milano), 2005.
American Book Review: Venice West, Christine Timm, Excerpt from ABR, July/August 1999 Volume 20 Issue 5.
books.google.it: Stuart Z. Perkoff;
books.google.it: Venice West: The Beat Generation in Southern California; https://books.google.it/books?id=aGOVgiSR7oEC&pg=PA239&lpg=PA239&dq=on+the+life+and+poetry+of+stuart+zane+perkoff&source=bl&ots=46q4ASaMrh&sig=qwEa-PFGgZ2jqIPcH3pm57TDuJI&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiH_q3Q3__XAhVCthQKHc-wDUsQ6AEIOzAC .
abebooks.com: Specimen‘73; https://www.abebooks.com/signed-first-edition/Specimen-73-Paul-Vangelisti-Editor-Bukowski/1245853629/bd .
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stkfoundation.org: The Stephen & Tabitha King Foundation; https://stkfoundation.org/ .
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La rubrica, che prevede una pubblicazione mensile per l’ultimo sabato del mese, apre alla possibilità di indicare opere di autori altri, pure a manoscritti inediti ma sempre in formato cartaceo, segnalati e fatti pervenire a proprie spese alla redazione e che, a insindacabile giudizio del curatore, potrebbero comparire nei prossimi appuntamenti. In caso di testi in lingue diverse dall’italiano, è necessario disporre i componimenti con una traduzione a fronte. Le raccolte inedite devono essere composte almeno di 30 poesie.
Il materiale non sarà restituito.
su-per-la-ti-vo ! ! ! ! ! !
Articolo certosino per un raffinatissimo poeta che andrebbe conosciuto meglio.
Bravi davvero.
Così si fa cultura, con attenzione, dedizione, passione quotidiana.
Pregevole ma francamente un po’ troppo lungo!!
Quando la CIA invento’ la liberta’ di espressione, invento’ l’ arte astratta, l’action painting, invento’ questa schifezza che credete poesia. Invento’ il Moma o il MAMA di NY, Pasternak, Spender, Secondo Tranquilli…
Anonimo, scusa, non ho capito. D’accordo sul fatto che certe poesie compresa la qui presente siano schifezze, ma spiegami: la CIA avrebbe inventato la libertà di espressione e l’arte astratta? E perché ci hai infilato Pasternak e Silone? Pasternak lo trovo pesantuccio e Silone è un onesto narratore niente di speciale ( ne esistono di migliori) ma non per questo meritano il nostro disprezzo…
Amen. Appunto.